Come dice il nome stesso, si tratta di un documento che obbliga alcune aziende e realtà professionali a diffondere informazioni sul proprio impatto ambientale, sociale, economico… lo scopo è ridurre il greenwashing, ovvero quel fenomeno che spinge molte organizzazioni a indossare panni apparentemente ecologici e sostenibili, ma dietro ai quali non c’è di fatto sostanza.
Si tratta, ad esempio, di strategie di comunicazione e marketing che puntano ad occultare l’impatto negativo di una certa attività, quando non addirittura a inventare l’esistenza di azioni poco impattanti sull’ambiente. L’UE ha stabilito che dal 2024 gli standard secondo i quali avviene la rendicontazione della sostenibilità, dovranno essere allineati su scala internazionale. Questo dovrebbe aiutare gli investitori, le organizzazioni della società civile, i consumatori e la politica a valutare le performance non finanziarie di grandi compagnie (quelle da almeno 500 dipendenti) internazionali, e ovviamente incoraggia anche le aziende a sviluppare un approccio responsabile al business.
Questa Non-Financial Reporting Directive (NFRD) colma il vuoto lasciato dalla Direttiva 2013/34/EU, in vigore da una decina d’anni, ma vaga e insufficiente per quanto riguarda le informazioni a carattere non finanziario che fornisce. Tanto è vero, che si prevede un aumento netto del numero di aziende toccate: si passerà dalle 11.700 attuali a più di 50.000, secondo le previsioni.
In che modo? Le multinazionali con più di 500 dipendenti dovranno collezionare dati sul proprio impatto ambientale, sull’impatto sociale delle proprie attività e sul trattamento dei propri dipendenti, sul rispetto dei diritti umani, sulle proprie norme anti-corruzione e sulla dose di diversità umana del proprio organico (in base a età, genere, background professionale e di formazione. La diffusione delle informazioni è quindi prevista per l’anno seguente, in modo da dare modo a organizzazioni e enti di accertare le condizioni di lavoro e produzione nell’azienda analizzata.
Dal 2025, però, gli obblighi sopracitati coinvolgeranno anche realtà dotate della metà dei dipendenti, 250, e/o un fatturato di 40 milioni di euro. Un dettaglio importante: la direttiva riguarda anche imprese non europee che però operano sul territorio UE per un fatturato oltre i 150 milioni di euro annui.
La nota difficoltà nell’individuare, comprendere e seguire le direttive fa sì che realtà come Interzero siano mediatori necessari per le aziende che vogliano rispettare i nuovi criteri stabiliti dalla Commissione Europea. Gli stati membri dell’UE hanno a disposizione per adattarsi alle novità legislative 18 mesi dall’entrata in vigore delle stesse.